mercoledì 4 novembre 2009

Ancona, i tramvieri... e il filobusse


“Quando scendevi dall’autobus e salivi in macchina, ti sentivi piccolo piccolo”. Piccolo sì, perché avevi guidato per quasi otto ore un vero e proprio gigante della strada, un mezzo che, diversamente da oggi, dovevi spesso governare con la forza delle braccia.
E’ un rincorrersi di storie il racconto di Lino Scaloni, oggi pensionato, dopo una vita passata a fare l’autista. “Ho preso la patente – esordisce – con un autobus che aveva dodici marce: sei normali e sei ridotte. Il volante era un problema, senza servosterzo. Quando nel tabellone dei turni vedevi che ti era toccata la Circolare, erano dolori. Quando facevi la Circolare piangevi per quindici giorni: nelle curve della Panoramica ti dovevi alzare in piedi per girare il volante!”.
Loro si definiscono tramvieri anche se il tram, il “tranve”, in Ancona, è, da anni, solo un pezzo di storia. E’ un po’ lo stesso meccanismo per cui gli anconetani hanno continuato a dire: “prendo il filobus”, anche se la rete filoviaria anconetana è stata per anni fortemente ridimensionata.
Questa intervista ai vecchi autisti dei bus anconetani doveva essere fatta con la videocamera, che però, all’ultimo momento, non ha funzionato. Ed è un peccato, perché dalle immagini si sarebbe percepito immediatamente quel clima familiare e un po’ goliardico che si è creato subito, appena tre di loro si sono seduti intorno al tavolo del Cda dell’Azienda per raccontare la loro storia.
Battute, barzellette sui tranvieri, ricordi di belle ragazze (molte delle quali, sembra, subissero il “fascino del tranviere”), di schermaglie coi viaggiatori, ma anche, e soprattutto, di grande affetto e di collaborazione con la città, in particolare nei momenti più tristi e difficili.
Fa sorridere Lino quando racconta della fioraia Velia delle Tavernelle, la mascotte e “mamma” di tutti i tranvieri di Ancona, che dal tipo di fiori che compravano nel suo negozio, vicino al capolinea del 4, capiva se erano mariti fedeli o avevano un’amante (“per la moglie – scherzano - solo tre garofani e un po’ di verdura!”).
E’ curioso apprendere che gli anziani, quelli che passavano le giornate sul filobus e a volte si addormentavano per via, loro li chiamavano “i pavesini”: “Erano immancabili, tutti i giorni”, come i biscotti di una famosa pubblicità degli anni ’70.
E’ toccante, allo stesso modo, ascoltare il ricordo dei tempi del terremoto: “Molti autobus furono parcheggiati lungo via Marconi e adibiti a dormitorio per gli sfollati.
E mentre tutti fuggivano via, le mogli e figli dei tramvieri scappavano senza il capofamiglia”. “Quando c’è stata la prima scossa – racconta Scaloni – eravamo davanti al bar dell’azienda. Ricordo che la tazzina del caffè mi è caduta dalle mani. In un attimo tutta la gente era fuori dalle case. Ho cercato di raggiungere casa prima possibile e quando sono arrivato i miei erano già al sicuro da un’altra parte”. Dopo, i tramvieri divennero pendolari: erano sfollati nei paesi limitrofi, ma venivano a lavorare ogni mattina in Ancona”. “Il servizio è andato avanti, sempre uguale” raccontano con orgoglio. “Nei capannoni della nuova azienda abbiamo ospitato la gente di Vallemiano” aggiunge Scaloni, “abbiamo fornito loro tutti i servizi di cui avevano bisogno. Era bello veder nascere questa collaborazione”.
Sempre in prima linea, dunque. Mario De Domincis, autista di autobus dal ’75 al ’98 e oggi pittore per passione, ricorda i giorni della frana, quando furono istituiti servizi ad hoc per portare via le persone dalle zone colpite.
Andando tanto indietro nel tempo, poi, si arriva all’alluvione del ‘59: “Per sei mesi abbiamo raccolto e asciugato i blocchetti dei biglietti in mezzo al fango” racconta Franco Coacci, in servizio dal 1959 al ’94.
E con i blocchetti di Coacci ci ricordiamo del bigliettaio, un mestiere che non c’è più: “nel ’61 – racconta Scaloni – c’erano 8-9 tipi di biglietti: una cartellina per quelli di città e una per le frazioni”. Si pagava a tratte, più o meno una quindicina di lire: da piazza Cavour a piazza della Repubblica, alla Stazione, al Piano, al Pinocchio, Tavernelle, Posatora…
Nessuna traccia, a quei tempi, dei portoghesi: “Sono arrivati – dicono – verso gli anni ’80. Se erano ragazzi, potevi pensare a una marachella. Ci restavi male, però, quando a trasgredire erano gli adulti…”.


(Foto: archivio Conerobus)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma chi ha detto che fino al 2006 il filobus era solo un ricordo e una rete elettrica abbandonata? Negli anni '80 furono acquistati 9 filobus nuovi...

Anonimo ha detto...

Più che abbandonata, fortemente ridimensionata. I 9 nuovi filobus acquistati nel 1986, ora 7 funzionanti, subentrarono ai vecchi Fiat 2401 (quelli adibiti prioritariamente alla linea 1 per il Passetto) e questa attualmente è l'unica linea in servizio, sia pure prolungata fino alle Tavernelle (Università) e quindi, in un certo senso subentrante anche alla ex linea 4 (ora infatti è la 1/4). Solo che queste vetture, rispetto ai loro "nonni", fanno un servizio part-time, solo di mattina o per un certo tempo solo in periodo scolastico, domeniche e festivi non circolano, per arrivare ai giorni nostri con turni in cui fanno opera di pura testimonianza, in confronto ai più moderni ma lenti bus a metano ed ad altri rumorosi ed inquinanti bus a gasolio che per obsolescenza e normative "out" dovrebbero essere radiati da un pezzo. I tronconi di linea tuttora superstiti anche se scollegati dall'impianto in esercizio (Corso C. Alberto, Via C. Colombo) sono stati lasciati per mantenere le servitù di elettrodotto e di ancoraggio, e quindi rendere celere una possibile futura riattivazione dei percorsi, sia pure con materiale nuovo ed a norma, in prospettiva di una più volte ventilata ma non ancora concretizzata estensione del servizio filoviario nella Dorica.

margherita rinaldi ha detto...

@anonimo: Le dò il benvenuto nel mio blog, anche se preferisco che chi scrive si firmi. La ringrazio per la precisazione, che è vera e in base alla quale modificherò il testo. Grazie anche per tutte le altre interessanti notizie.

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