venerdì 15 ottobre 2010

UPGRADE, PLEASE

I momenti in cui posso confrontarmi con i colleghi giornalisti più giovani sono sempre molto importanti.
Ormai da un po' l'Ordine dei giornalisti delle Marche mi chiama per fare lezioni o ai praticanti o a colleghi di enti o aziende. In realtà faccio delle chiacchierate e, come ho detto ultimamente, visto lo stato dell'informazione in Italia, sto gradualmente passando dalla testimonianza di un modello che funziona alla testimonianza dei principi fondamentali della professione. Spero di non dover passare, prima o poi, all'incitazione alla "resistenza".

Parlare con chi ha intrapreso dopo di me la mia stessa strada o con chi la sta percorrendo poco più indietro o poco più avanti, mi dà il senso di dove stiamo andando e così, non lo dico per retorica, ogni volta che esco da una lezione mi porto via qualcosa di nuovo: un contenuto, una visione diversa dei problemi, la misura di quanto un concetto o un'idea siano o non siano entrati a far parte del senso comune.

Ieri per esempio ho avuto due percezioni.
La prima è che ormai è ora di smetterla di parlare di videogiornalismo web: il concetto e l'uso sono nel senso comune di chi fa questo mestiere e la formula del telegiornale tradizionale trasposto nella rete è stata definitivamente e tranquillamente superata dal video tematico modello You Tube.

La seconda riguarda l'idea che di questa professione hanno gli addetti ai lavori. Pur generalizzando un po', credo di mantenermi abbastanza fedele alla realtà se dico che i più giovani di noi sono quelli che scelgono di fare i giornalisti solo per passione e che hanno una rassegnazione quasi totale circa il fatto che oggi di giornalismo non si vive. L'incudine della rassegnazione si sente pesantissima sopra le nostre teste. Per questo credo che sia il caso di motivare al massimo quelli che ancora ci credono. Perché una classe di giornalisti motivata e competente è l'anima e la coscienza di un Paese civile.

Bisogna inventarsi qualcosa, abbiamo detto ieri a margine della lezione. Qualcosa sì, ma non un coniglio che esce dal cilindro del mago.
Il giornalismo oggi non è solo in crisi a causa di ragioni oggettive. Il giornalismo sta cambiando perché cambiano i media, cioè cambia il modo e la velocità con cui si danno risposte ai perché della gente. E allora inventare vuol dire trovare le risposte alle nuove domande.

L'idea meravigliosa e affascinante dello scoop oggi non ha più molto senso. Come si fa, infatti a misurare chi è stato il primo a dare una notizia sulla rete? Come unità di misura bisognerebbe usare i nanosecondi.
Però si può puntare alla completezza estrema, al dettaglio, alla molteplicità dei punti di vista, all'aggiornamento in tempo reale. Oppure, con l'aiuto degli strumenti informatici, a raccontare le storie che i dati nascondono.

Liquid newsrooms e data giournalism sono alcune delle nuove strade da seguire.
L'idea della Liquid Newsroom, della "redazione liquida", spiega Steffen Konrath, nasce dal desiderio di trovare una guida che ci possa condurre attraverso un flusso infinito di notizie. La Liquid Newsroom è il luogo del giornalismo "di assistenza" (curative journalism).
"In questa fase di sviluppo dell'idea - prosegue - non lo riterrei come il luogo delle notizie di ultim'ora. Quelle si svilupperebbero altrove, mentre la Liquid Newsroom è il primo luogo a cui le persone fanno riferimento per farsi velocemente un quadro generale sull'esplosione dell'informazione dopo che la notizia è comparsa. E' il luogo che fornisce l'informazione riassuntiva e collega alle fonti originarie, dando credito, in questo modo, a quelli che sono arrivati per primi con la notizia e a coloro che hanno aggiunto nuove informazioni sostanziali. Così si aiutano le persone a farsi un quadro più chiaro su questioni di interesse generale".
Perché usare il termine "Liquid"? E' un termine che deriva dal settore del design. Il design di uno schermo è liquido se non è determinato. La larghezza e l'altezza cambiano se si cambia la misura del browser. "Ho trovato - dice Konrath - il termine "liquid" molto potente anche nel contesto delle notizie. Penso che questa redazione sia liquida nel senso che non è gestita da un editore ma dagli stessi giornalisti. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di rendere pubblico il processo di sviluppo della piattaforma, per permettere alle persone di unirsi e di parlare delle loro intuizioni e idee". 

Quanto, invece, al concetto di data journalism, come afferma Charles Arthur del Guardian, esso è il combinato di tre cose: la determinazione di far fare al computer il grosso del lavoro faticosi, la fiducia di essere in grado di programmarlo perché lo faccia e il desiderio di raccontare la storia che i dati contengono e nascondono. Come afferma Antony Bradshaw, il termine "dati" va inteso nella sua accessione più ampia. "Non parlo - dice - di statistiche o di numeri in generale, perché questi non sono niente di nuovo per i giornalisti. Quando parlo di dati intendo le informazioni che possono essere elaborate dai computer. E' una distinzione cruciale: per un giornalista una cosa è guardare un bilancio su carta e completamente un'altra cosa andare a scavare tra quelle cifre con un foglio di calcolo o farsi un programma per analizzare quei dati e accostarli ad altre fonti di informazione. Inoltre con questi strumenti possiamo più facilmente analizzare nuovi tipi di dati, come quelli in tempo reale, le grandi porzioni di testo, i modelli comportamentali degli utenti e i collegamenti di rete. Questo per me ha una enorme importanza e un grande potenziale di cambiamento. Aggiungere il potere dell'elaborazione informatica al nostro arsenale giornalistico ci permette di fare di più, più velocemente, in modo più accurato e collaborando con altri. Tutto ciò apre nuove opportunità - e nuovi pericoli. Le cose stanno cambiando".

Sì, le cose stanno cambiando, più lentamente in Italia, più velocemente altrove. E' necessario studiare, informarsi, essere aggiornati.

Ieri a lezione ho dato questi riferimenti, che trovo molto utili a questo scopo: 

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