Ho scelto la parola "strutturare" e mi sono impegnata a diffonderla per un anno e a usarla il più possibile, segnalandone anche gli usi impropri sul sito della Società Dante Alighieri.
Ho trovato questa iniziativa su Facebook: la Dante Alighieri, in accordo con quattro tra i più diffusi dizionari della lingua italiana, promuove una campagna di adozione di parole dell'italiano, con il fine di sensibilizzare le persone a un uso corretto e consapevole delle parole, favorire una conoscenza e un uso più ampio del lessico, monitorare l'utilizzo di alcuni termini e promuovere la varietà dell'espressione nella comunicazione.
Questa iniziativa, leggo sul sito, nasce dalla volontà di contribuire ad evitare l'impoverimento del lessico italiano e si affianca a molte altre analaoghe, dal Dizionario delle parole perdute di Splinder ai gruppi nati su Facebook. Tra questi ultimi segnalo quelli che conosco: Contrappunto agenzia letteraria europea, che mi ha dato l'ndicazione del link, Salviamo qual è dall'apostrofo e la interessantissima pagina de Il mestiere di scrivere, che quotidianamente propone esempi di scrittura degli autori più famosi e più diversi, pezzi di prosa, ma anche riflessioni sull'uso del linguaggio e sull'arte dello scrivere.
Prima che in Italia l'iniziativa è nata in Spagna, dove ventiduemila persone provenienti da sessantanove Paesi dal 30 marzo al 21 aprile 2007 hanno messo insieme una Reserva de paraules: undicimila in tutto, quattromila in catalano e settemila in castigliano.
Anche l'Oxford English Dictionary ha creato lo spazio SaveTheWords. "Ogni anno - si legge sul sito - la lingua inglese perde centinaia di parole. Oggi il novanta per cento di quello che scriviamo è comuincato attraverso circa settemila parole".
Ho trovato tutto ciò interessante perché credo che di pari passo con la complessità della ligua possa scomparire anche la complessità del pensiero.
Per questo ho scelto il termine "strutturare", che non sembrerebbe a rischio di estinzione, anche se è uno di quelli segnalati dalla Società Dante Alighieri.
Il fatto è, credo, che l'uso di questo termine si sta trasferendo sempre di più ad aree tecniche, abbandonando la dimensione più quotidiana e, se vogliamo, esistenziale. Basta digitarlo su qualsiasi motore di ricerca, infatti, per accorgersi che l'uso preminente è nel linguaggio informatico (strutturare codici, siti, tabelle), soprattutto in riferimento ai criteri di accessibilità.
Io, invece, forse perché accademicamente figlia di Saussure e dei suoi discendenti, uso molto questa parola per descrivere la dimensione sistematica del vissuto quotidiano, della conoscenza e persino della creatività, quando quest'ultima si cala nella realtà diventando opera d'arte, o, semplicemente soluzione innovativa per le persone.
Il rischio è che, perdendosi l'uso di alcuni termini, non scompaiano solo pezzi di vocabolario, ma anche filosofie e stili di vita. L'importante è che questi siano riampiazzati da altri o, invece, se ci sembra necessario, che questi siano, in tutti i modi, preservati.
C'è, poi, una osservazione dell'ultimo minuto. Appena ho postato su Fb la mia scelta, un'amica mi ha scritto che le piace di più la parola destrutturare. Forse piace anche a me. E' più libera, creativa e, se vogliamo, rivoluzionaria. Ma, ho risposto, è una questione di complementarietà: non può esistere l'una senza l'altra.
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