venerdì 14 dicembre 2012

RACCONTI CHE C'ENTRANO COL NATALE

Quest'anno il Natale mi sembra più caldo. Non ci sono i soldi e quindi non c'è nemmeno la corsa ai regali. Io ho comprato libri, prevalentemente, e siamo addirittura riusciti a convincere mia madre che non c'è bisogno del cenone della vigilia, né del pranzone il 25 dicembre.
Risultato: siamo più tranquilli e aspettiamo senza stress.
Il presepio lo sto facendo giorno per giorno e mi gusto ogni pezzetto, senza comprare niente di nuovo. La prima sera i ragazzi hanno assegnato un posto alle case e ai personaggi e da lì ho capito qual era l'idea che avevamo in testa. Poi ho aggiunto un soppalco per la paglia alla capanna di legno che tre anni fa abbiamo costruito insieme in garage, che due anni fa mio padre e mio figlio hanno modificato per aggiungere le luci, che ogni anno la gatta Flora visita, a lavoro finito, per accomodarsi al suo interno come se lei fosse un gigantesco Gesù Bambino. Abbiamo, come ogni anno, tirato fuori dalle scatole i personaggi più preziosi, scolpiti sul legno da uno scultore spagnolo, rotondetti e con la faccia da bambini. Quelli me li hanno regalati mia sorella e i miei genitori a ogni anniversario di matrimonio per i primi tempi dopo che mi ero sposata. Poi sono arrivata molto indietro nel passato, con le casette di cartone costruite da papà usando scatole delle scarpe quando io non ero ancora nata e un castello con le torri e i tetti rossi appuntiti che stava sul presepio di mio nonno, a Roma, nell'ingresso della piccola casa dove io e mia sorella eravamo felicissime quando capitava di poter trascorrere lì le feste. C'è il muschio raccolto chissà quando, la paglia di un vecchio pacco regalo e persino un angelo rimasto in casa dopo il trasloco dei precedenti proprietari. Ci vuole lentezza e serenità per gustarsi e contenere tutti questi ricordi.
Un po' di tempo fa ho scritto un racconto (che poi ho cestinato, ma questa è un'altra storia), che parlava di una giovane donna che comprava di tutto. Dopo aver riempito la sua casa di cose inutili, molte delle quali mai aperte e mai usate, le capitano una serie di sventure che la portano fino alla strada, tra i barboni di Roma. Perde fidanzato, lavoro e amici. I suoi genitori sono lontani e nel giro di poco tempo potrebbe trovarsi anche senza tetto. A questo punto ha un'idea: associarsi con i suoi amici clochard e aprire un laboratorio di pronto intervento di idraulici, imbianchini, sarte, fattorini, muratori. La formula funziona e l'ufficio che trovano vicino alla stazione Termini è sufficientemente grande per offrire loro un riparo. Per arredare questa nuova casa la ragazza comincia a svuotare la propria e tutti gli oggetti inutili accatastati nelle sue stanze trovano un posto e diventano utili, prendono vita, cominciano a vivere la loro nuova storia, proprio come i protagonisti di questo racconto.
Qualche giorno fa ho letto una storia simile, però vera: quella di Wainer Molteni, che per otto anni è stato clochard a Milano, dopo una vita quasi normale fatta di famiglia, di scuola, di università, di lavori divertenti e prestigiosi. Il libro si chiama Io sono nessuno e racconta di un lungo viaggio dalla casa alla strada e poi a una nuova casa più ricca, più libera, più moderna, come credo sia la fattoria dove oggi una decina di clochard alla riscossa, capitanati da Molteni, lavorano, coltivano, producono e si procurano da vivere. E' come se avessero dato nuovo ordine alla loro vita, passando attraverso un caos che per loro si è chiamato freddo, paura, insicurezza, disperazione, smarrimento: dell'identità, dei ricordi, della speranza nel futuro. Alla fine sono arrivati lì, sotto il tetto che oggi li copre, perché, io penso, nel caos hanno continuato a sognare e a sentirsi normali, anche se dormivano sopra un cartone e la gente aveva smesso di guardarli in faccia. Hanno avuto la forza di andare a cercare, nella cantina del loro cuore e della loro ragione, le risorse nascoste che forse non sapevano nemmeno di avere. Le hanno trovate e le hanno fatte funzionare di nuovo, in un modo diverso dal passato, fino a farle diventare la loro vita quotidiana.
E' arrivato per molti, credo, il momento di rimettere ordine: assegnare nuove priorità, ricostruire, tornare a guardare, ad ascoltare e, rallentando, godersi il cuore.

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