Il “peso dell’assenza” si è percepito ieri tangibilmente alla galleria Quattrocentometriquadri di Ancona perché il primo di una serie di incontri dedicati, proprio con questo titolo, a Gino De Dominicis è avvenuto con l’apparente assenza dei relatori-testimoni. C'erano, ma non si vedevano, l’artista e docente Massimo Vitangeli e il curatore Riccardo Lisi, che hanno letto parte della poetica dell’artista e poi conversato sulla sua vita e sulla sua opera in un luogo altro rispetto a quello in cui si trovava il pubblico, che, dunque, era costretto ad abbandonare la dimensione abituale e prevalente di spettatore, per assumere quella di ascoltatore puro.
Il colloquio con Vitangeli ha sottolineato la perenne contemporaneità dell’opera di Gino, da cui deriva l’impossibilità netta di ascriverlo all’interno di qualsiasi corrente o tendenza e tanto meno di ingabbiarlo in una concezione politica precisa e storicamente determinata.
Ma la conversazione ha anche consentito di riconoscere, attraverso i ricordi, alcune peculiari caratteristiche di Ancona, che Vitangeli ha sintetizzato nella particolare relazione con il porto e nel fascino che la città ha esercitato su un altro artista importante, Luigi Vanvitelli.
Ma la conversazione ha anche consentito di riconoscere, attraverso i ricordi, alcune peculiari caratteristiche di Ancona, che Vitangeli ha sintetizzato nella particolare relazione con il porto e nel fascino che la città ha esercitato su un altro artista importante, Luigi Vanvitelli.
Vitangeli mi ha ricordato con il suo racconto quella sensazione particolare che si prova, giungendo in fondo al corso principale e trovandosi di fronte “una enorme nave parcheggiata di traverso”. Questo dà al mare il ruolo di medium funzionale alla partenza e l’idea del partire è, probabilmente, ancestrale nel carattere di questa città, dove tutto sembra essere visto con lo sguardo ironico (e spesso ipercritico) dello straniero, di colui che è di passaggio e per questo non si affeziona, anche se a guardare sono gli stessi abitanti di Ancona. Come se nella loro mente il senso di appartenenza alla terra fosse inscindibilmente legato con quello di allontanamento, alla ricerca del diverso, del meglio.
Vitangeli ha detto ieri che l’allontanamento di De Dominicis dalla città di Ancona è stato, in un certo senso, fisiologico, perché Roma era la meta naturale di ogni artista suo contemporaneo. Io ho sempre pensato (più per i racconti di chi lo ha conosciuto o studiato, che per una profonda conoscenza della sua opera, che non ho), che lui se ne sia andato perché il senso del viaggio ha prevalso, soprattutto in un luogo e in un momento storico in cui questa terra poteva risultare veramente troppo stretta e chiusa.
Poteva Ancona contenere la sua idea di calamita cosmica?
All’estremo opposto di questa riflessione legata a un artista che se ne va, c’è la interessante chiave di lettura, proposta da Vitangeli, di un’artista che arriva e rimane fortemente attratto da Ancona. E’ Luigi Vanvitelli, che legge questa città dal mare, progettando la Mole, elemento “di mezzo” che collega il binomio terra-acqua mantenendone la dualità, e anche la chiesa del Gesù, con la sua facciata “trasversale”, e il portale del duomo, architetture che solo guardandole dal mare si possono apprezzare completamente. Ma Vanvitelli non fa solo questo. “E’ così affascinato da questa città – dice Vitangeli – da realizzarne anche palazzi e abitazioni private”.
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