Ho finito di leggere "La carta e il territorio" di Houellebecq e mi sono subito comprata "Le particelle elementari" perché mi sembra che questo scrittore abbia veramente molto da dire. Ecco, mi sono detta, un altro romanzo totale. E' il secondo che mi capita di leggere in poco tempo.
Tra i numerosissimi percorsi che questo romanzo apre (percorsi di riflessione, di analisi, di interpretazione), quello dedicato all'arte e in particolare alla creazione l'ho trovato particolarmente interessante, in particolare quando si esprime il fatto che uno scrittore può fare ben poco di fronte alle sue storie: può solo aspettare e che esse acquisiscano la consistenza di un macigno e poi cominciare a limarle intorno. Prima, però, di arrivare a questo stadio passa un periodo, molte volte lunghissimo, in cui non si percepiscono che frammenti slegati. Questo succede anche a Jed, il protagonista del romanzo, che esercita la sua arte mettendosi nella posizione di colui che attende.
C'è, infatti, in tutta la storia, un senso di ineluttabilità che caratterizza gli eventi e la vita delle persone, in cui il soggetto non è affatto protagonista, ma, piuttosto, un "mezzo" attraverso il quale passano gli eventi, o un "filtro" attraverso cui guardare gli oggetti, le carte, i territori.
L'uomo sembra essere, dunque, un soggetto messo lì per cogliere l'attimo: "c'è un momento - dice un passo del romanzo - per fare le cose e per entrare in una felicità possibile, tale momento dura qualche giorno, qualche settimana o persino qualche mese, ma si verifica solo una volta, soltanto una, e se in seguito si vuole tornare sui propri passi è semplicemente impossibile, non c'è più posto per l'entusiasmo, la convinzione e la fiducia, rimangono una rassegnazione dolce, una pietà reciproca e rattristata, la sensazione inutile e giusta che qualcosa avrebbe potuto esserci, che ci si è semplicemente mostrati indegni del dono che ci era stato fatto".
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