Anteprima dell'esame di laurea: nella hall di un albergo di San Marino André Martinet mi interroga a lungo (e sua moglie prende appunti), per testare le mie conoscenze e, credo, le mie convinzioni sulla linguistica, prima di concedermi l'intervista che gli avevo chiesto per la tesi, come suggerito dal mio relatore, il professor Poli.
E' chiaro dunque che la mia storia con Martinet all'inizio non fu facile. Prima, tra l'altro, avevo dovuto aspettare qualche mese per l'ok. Poi ci fu l'appuntamento: San Marino, 18 e 19 ottobre 1993, convegno su Louis Hjelmslev. Lì diedi un volto a diverse penne che erano state importanti per la mia formazione culturale e linguistica: conobbi Umberto Eco, Raffaele Simone e, alla fine, lui, lo studioso che mi interessava più di tutti e che avrebbe parlato con me solo se mi avesse giudicato sufficientemente preparata.
L'esame andò bene e tutti e tre, io Martinet e sua moglie, salimmo nella stanza dove alloggiavano, perché il professore era molto stanco (aveva 85 anni) e aveva bisogno di distendersi sul letto. Io mi sedetti in fondo, su una sedia, e feci tutta l'intervista guardando, in primo piano, le piante dei suoi piedi nudi, e poi, dietro, il suo viso contornato da una folta capigliatura canuta, sorretto da due cuscini. Mi morsi idealmente i gomiti per non aver dato retta a un amico giornalista, che mi aveva suggerito di portare con me una macchina fotografica, ma tanto non so se alla fine lui avrebbe accettato di farsi fotografare così.
Il mio rapporto con lui, però, era stato difficile già in precedenza, quando lo conobbi attraverso la sua Sintassi generale, che dovevo studiare per un esame. A casa ne ho due copie. La prima all'inizio mi era così ostica che più volte l'ho lanciata contro il muro del mio studio. Però c'era qualcosa che mi affascinava: a posteriori so che era il concetto di equilibrio dinamico del sistema, secondo cui "i mutamenti vengono interpretati sulla base di una antinomia irriducibile, che contrappone da un lato l'esigenza di chiarezza e precisione, che porta alla moltiplicazione delle unità distintive, dall'altro una tendenza al risparmio di energia, che favorisce l'uso delle unità più frequenti. Alla armonizzazione tra le due pressioni, caratteristiche dell'attività comunicativa umana, si subordina il mutamento. Le deviazioni, dunque, saranno eliminate se funzionano da ostacoli alla reciproca comprensione, ma si tenderà ad accoglierle quando favoriranno la comprensione" (così scrivevo più o meno in un capitolo della mia tesi).
Ecco, io qui ci ho trovato la vita della lingua e per questo ho deciso che la Sintassi generale di Martinet andava affrontata, se necessario anche con le maniere forti, per capirla fino in fondo. Martinet è solidissimo nelle sue argomentazioni, che, per essere seguite e comprese, presuppongono conoscenze atrettanto solide, perché, afferma lui, esistono le scienze della natura, ma anche quelle delle culture.
Risultato: il libro è diventato un campo di battaglia: sottolineature e note, prima a matita e poi a penna, nera e blu, evidenziatori colorati, pagine stropicciate. Così ho comprato una seconda copia, che mi è servita per il ripasso generale, e per presentarmi all'esame.
Il pomeriggio con Martinet è stato da mal di testa: quell'uomo era un fiume in piena di teorie, di ricordi, di studio e di vita. Abbiamo parlato in inglese, lingua che mi era più familiare del francese, e nella quale, ovviamente, lui era perfettamente a suo agio, avendo insegnato per quasi un decennio alla Columbia University. Ne è uscita una lunghissima conversazione, che ho scelto di trascrivere fedelmente nella tesi, per non perdere la vivacità del suo linguaggio e dei suoi racconti.
All'ultimo convegno sulle #scritturebrevi di Roma ho avuto la piacevole sorpresa di sentirlo citare ripetutamente, mentre ai tempi della laurea avevo avuto l'impressione che Martinet non fosse così al centro dell'interesse accademico. Anche per questo, dopo che Francesca Chiusaroli mi ha fatto riprendere in mano il lavoro, ho pensato che, magari, i suoi racconti e le riflessioni raccolti da me in quel pomeriggio d'autunno e in quell'atmosfera un po' surreale, potessero stare meglio dentro un blog, piuttosto che sugli scaffali della libreria in mansarda.
Credo che li pubblicherò, domanda per domanda, giorno per giorno... tanto il bello del web è che nessuno è obbligato a leggere ciò che non gli interessa e, soprattutto, che le parole qui non pesano e non ingombrano. Una cosa è certa: non saranno sempre #scritturebrevi ;)
Anche: http://www.scritturebrevi.it/2013/03/06/equilibrio-dinamico-e-tutto-qui/
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