mercoledì 27 aprile 2011

LE DUE VECCHINE

Quando passava la vecchietta uno dei bambini del quartiere dava l'allarme. Tutti gli altri, che giocavano sotto la statua grigia di Pinocchio, correvano di fronte al muretto della recinzione, ci si inginocchiavano davanti e nascondevano, accucciati, la testa tra le braccia.
Io la vecchietta non l'ho mai vista in faccia, non mi azzardavo ad alzare il viso al suo passaggio e aspettavo che qualcuno desse il segnale del cessato allarme. Dalle parole di mio nonno mi sembrava di capire che era una molto sola, e burbera. Si diceva che abitasse nelle casette.
Le casette erano, e sono anche oggi, una serie di case basse e brutte di via della Madonnetta, di quelle che devono essere nate già vecchie, rettangolari, con le porticine e le finestre piccole. Quando ero piccola io erano l'ultimo baluardo di questo quartiere dal nome bizzarro, porta d'ingresso che si apriva sui campi dove a primavera andavo con mia nonna a raccogliere i tulipani.
Io la vecchietta me la immaginavo. Secondo me era bassa, secca secca e gobba, tutta vestita di grigio, con il volto rugoso incorniciato da un fazzoletto. Il viso non lo pensavo cattivo, solo serio. La vecchietta era un gioco quotidiano, un appuntamento fisso sotto l'odore di pino nel recinto di Pinocchio, a lato della scuola. E non è nemmeno escluso che qualcuno tra i bambini più grandi a volte bleffasse: magari non arrivava nessuna vecchietta, ma loro davano lo stesso l'allarme e noi nascondevamo lo stesso la testa.
La vecchietta tornava poi, puntuale, nel corso della giornata, evocata dai miei nonni: "Guarda che se non mangi arriva la vecchietta!"... "Metti a posto i giocattoli, o chiamo la vecchietta!"...
Ancora oggi, ogni volta che passo di fronte alle sgangherate casette del Pinocchio, mi chiedo quale fosse la sua porta e continuo a immaginare la sua casa buia e la sua vita gobba.
Era invece perfettamente visibile, e nota a tutti noi, una seconda vecchina, che chiamavamo nonna Amelia. Che io sapessi, nonna Amelia non aveva nipoti, ma tutti i bambini del mio giro la chiamavano così perché era la tata di due di noi, fratello e sorella. Pure nonna Amelia abitava nelle casette. Me la ricordo coi capelli bianchissimi, messi in piega con grandi riccioli rotondi, gli occhiali di metallo argentato e un paio di orecchini a boccola, che allungavano i lobi e tracciavano una strisciolina sottile al posto dei buchi. Nonna Amelia ci salutava sorridendo quando passava con la busta della spesa di fronte alla statua di Pinocchio. Anche il suo arrivo era sempre anticipato dal grido di qualche bambino. E noi ci arrampicavamo tutti sulla ringhiera verde del muretto e ripetevamo inseme a cantilena: "Ciao nonna Amelia!".
Mentre della vecchietta non seppi mai nulla di preciso, su nonna Amelia ho avuto più volte l'occasione di informarmi. Credo che i miei nonni la conoscessero e pochi anni fa mia madre venne a sapere da una vicina alcune notizie che la riguardavano. Tutto quello che devo aver sentito su di lei, però, lo dimenticavo sistematicamente. Anche nonna Amelia era un personaggio della mia favola quotidiana. Era la nonna in più, che potevamo avere in ogni pomeriggio di sole. Viveva anche lei in quella storia, fatta di nonni che guardavano e di bambini che giocavano, accatastavano sassi bianchi, raccoglievano pigne e aghi di pino. E aspettavano, ogni giorno, che arrivassero le due vecchiette del Pinocchio: quella buona e pure quella cattiva.

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