A volte mi tocca l'ingrato compito di ricordare a mio padre che non esiste più la politica come la intende lui. Ogni volta che lo faccio mi viene il mal di stomaco, perchè lui viene dalla bella politica, quella del confronto costante con la gente, della ricerca incessante della soluzione migliore, del compromesso sano, che fa perdere molto tempo, a volte, ma che comunque è una garanzia quasi totale del fatto che la soluzione sarà la più utile, la più necessaria, la più aderente alla realtà.
Ogni volta che dico non esiste più, ammetto che è finito il tempo della politica fatta di idee, alle quali ti attanagliavi, plasmandole gradualmente fino a che non diventavano reali. Diverse, appunto, da come erano nate, ma ancora più efficaci di come le si erano pensate, perché erano passate attraverso la fatica del confronto, della verifica, della ricerca della strada migliore per attuarle.
Corro il rischio di sembrare banale, ma affermo ugualmente che non esiste più la politica dei grandi sogni. Oggi siamo impegnati a far quadrare i conti. E allora, "si può" e "non si può", "si deve" e "non si deve" sono categorie che nascono quasi esclusivamente da valutazioni tecniche.
Se dalla lingua dei ragazzi è scomparso il congiuntivo, dalle azioni degli adulti è ormai quasi completamente assente anche il condizionale: si potrebbe, vorrei, farei... Certo, perché il condizionale vuole vicino a sé un'ipotesi, un'idea, appunto, e implica una verifica: è reale? è possibile? è impossibile? Serve tempo per tutto questo, bisogna essere uomini (e donne) completi: non solo tecnici, ma anche filosofi, amanti, appassionati di umanità.
Bisogna rottamare per tornare a tutto questo? Che brutto verbo rottamare! Non è un buon auspicio pensare di ricostruire partendo da un concetto di eliminazione e di distruzione. E' certo però che, avendo deciso di abbandonare il bello del nostro passato, la bella politica, dovremmo decidere, a questo punto, di abbandonare anche il brutto: le cattive abitudini, la rassegnazione, l'indifferenza, l'ignoranza, che dilagano e fagocitano tutto il resto (per non parlare, ovviamente, della corruzione, della delinquenza, del disprezzo dei cittadini e delle istituzioni). A quarant'anni pensiamo spesso a cosa saremo in grado di lasciare ai nostri figli, ma non scordiamoci che noi quarantenni siamo la generazione che ha perso un treno e che forse potrebbe ancora salire in corsa per riappropriarsi di quel mondo che ha deciso di rinunciare a gestire. Non siamo classe dirigente perché quelli prima di noi sono rimasti attaccati al potere e noi ci siamo abbandonati al pensiero che altri ci avrebbero salvati: Berlusconi dai comunisti, Monti da Berlusconi e dalla povertà, il prossimo leader dal dispotismo dei tecnici e così via. Noi siamo quelli che saltano fuori tragicamente dal mondo del lavoro, quelli che, strada facendo, hanno cancellato la cultura, hanno rinunciato ai valori, hanno deciso di vivere sulla superficie. Siamo la strega di Biancaneve che interroga lo specchio e per paura di non piacerci uccidiamo noi stessi, rifacendoci i connotati, mascherandoci, fingendoci diversi. Rifiutiamo l'imperfezione, la vecchiaia, la bruttezza, la morte e, quindi, la vita. Siamo spaventati da tutto ciò che è diverso e dunque anche dalle nostre idee, che sono sempre uniche perché ogni uomo è differente dai suoi simili. Non solo non parliamo più e cerchiamo di non pensare, ma rimproveriamo chi lo fa, chi sale sopra il livello del coro. Altro che cogito ergo sum!
E' finita la bella politica, ma a questo punto deve finire anche quella brutta. E' vero, niente tornerà più come prima, ma noi, quelli dell'età di mezzo, siamo ancora in tempo per farci carico del nostro mondo, delle nostre vite, delle nostre terre, non per consegnarle ai nostri figli domani, ma per camminare, oggi, insieme con loro, nel momento più bello della nostra vita. C'è un vuoto enorme, che ogni giorno si irempie in modo sconclusionato e irrazionale. Io credo che si possa colmare con i nostri pensieri, con le idee e con il nostro coraggio.
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