Dateci la rivoluzione. Con la polvere e lo strepito. Che tocchi l’intimo della vita. Che porti a una rinascita, a una trasformazione vera da avvertire sottopelle, che non sia il solito «cambiare tutto perché non cambi niente».
Dateci la rivoluzione. Ma non una di quelle che usano il fuoco o la ghigliottina. Che si tengano le teste mozzate che rotolano lungo una strada in discesa: nella nostra rivoluzione non si contano i morti, ma solo i vivi.
Dateci la rivoluzione. Che vada oltre l’utopia, una di quelle culturali, di quelle primavere del cervello sociale capace di rivoltare l’animo dell’Occidente finanziario e industriale. Una rivoluzione universale che distrugga le certezze plastificate e che cancelli lo stile di vita cannibalistico che ci hanno lasciato.
Dateci la rivoluzione. Che parta dall’inizio e mai dalla fine. Dalla mancanza, dal vuoto che sentiamo dentro e dal silenzio rotto solo dalle suonerie dei cellulari. Una rivoluzione con un Manifesto in cui Marx, studente in filosofia dei giorni nostri, è incazzato nero e ci richiama tutti all’unità: noi, gli umanisti di tutto il mondo. Uniamoci per non vergognarci più d’essere letterati, storici, antropologi, filosofi, giuristi, psicologi, giornalisti, artisti. Per non credere più che sia stato solo un nostro divertimento capire l’uomo e i suoi derivati. Per non rimproverarci ogni volta che cerchiamo lavoro. Per trovare il nostro ruolo e il nostro posto.
Dateci la rivoluzione. Che ci faccia sputare la carota che ci hanno messo in bocca e spezzare il bastone col quale ci minacciano. Che ci convinca che noi umanisti siamo indispensabili in questo mondo di proprietà dell’economia e dell’ingegneria sociale. Perché accanto a chi sintetizza prodotti chimici ci sia uno che sintetizzi concetti. Per far capire al mondo che senza quelli come noi le auto sono solo ferraglia buona per la ruggine, i ponti trampolini per i suicidi e i palazzi placebo per l’insonnia. Senza quelli come noi, che provano a dare un senso alla vita, l’uomo avrebbe una casa per il corpo ma non per la mente, non avrebbe parole da cantare o film davanti cui emozionarsi. Senza quelli come noi, non si parlerebbe d’umanità e avremmo un futuro costruito. Ma solo verso il nulla.
E infine, dateci i rivoluzionari. Che ne facciano una questione di vita più che di morte. Che non si prostituiscano, che non facciano a brandelli loro stessi, che non si vergognino a fabbricare parole, concetti, idee. Che si ricordino che persino la rivoluzione è solo «un quarto realtà», e che poi «è sempre tre quarti fantasia». Perché è vero che Dio non è mai stato un ingegnere costruttore, ma un filosofo con la dote per gli affari.
uMan360
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