Avevo un orologio d'acciao della Marina Militare. Mi piaceva molto il quadrante bianco con la bandierina sui toni del blu, del rosso e del bianco, con la corona d'oro sopra. Angelo queste cose non le vedeva, eppure mi riconosceva, prima di tutto, dall'orologio. Gli tendevo la mano, lui lo toccava e poi mi diceva ciao. Io digitavo ciao sulla sua mano: la c sul polpastrello del dito medio, la i sulla falangina dell'anulare, la a sul polpastrello del pollice, la o alla base del mignolo. Parlavamo così, io in silenzio, lui un po' con la voce, un po' con le mani, picchiettando le dita della destra sulla tastiera immaginaria disegnata sulla sinistra.
Non ricordo le cose che mi diceva e quelle che mi scriveva sulle dita. Sono passati quasi vent'anni. Però ho chiaro in mente il contenuto delle nostre conversazioni: mi mostrava il suo laboratorio, dove impagliava le sedie, mi raccontava di come lo aveva progettato, senza vedere e senza sentire, con l'aiuto di un bastone che gli serviva per misurare lo spazio, mi chiedeva di me, dei miei studi e della mia famiglia, si arrabbiava con alcuni suoi colleghi troppo fastidiosi ed era questo il motivo per cui si era fatto costruire uno spazio solo suo su un soppalco, lontano dagli altri, per lavorare in pace. La comunicazione, direbbe Martinet, è lo scopo delle nostre lingue. E la comunicazione funzionava.
Usavamo il Malossi, un metodo inventato maestri napoletani Artusio e Aurelio Colucci nei primi anni del 1900, che permette alle persone sordocieche di comunicare tra di loro e con gli altri, toccando le lettere che nell'immagine qui sopra sono nere e pizzicando leggermente quelle azzurre.
In pratica ci messaggiavamo, anche se né io e né lui sapevamo che cosa fossero gli sms. Questo succedeva infatti alla Lega del Filo D'Oro di Osimo nel 1994, quando ancora si telefonava dalle cabine pubbliche. Era il mio primo studio e fu il mio primo lavoro dopo la laurea in linguistica e non fu facile spiegare al dirigente che mi fece il colloquio lì dentro perché una laureata in lingue voleva lavorare con i sordociechi.
Ripensandoci, dopo quasi vent'anni, mi rendo conto di quanto l'esigenza di comunicare si faccia strada, ogni volta, in ogni situzione, in ciascun momento storico, con i mezzi più veloci e più efficaci. E di quanto alcuni metodi abbiano funzionato e continuino a funzionare, sotto spoglie diverse, in tutte le epoche.Pensate che, dopo i saluti, se digitavo una parola sulla mano di Angelo e lui la intuiva prima che io finissi di scriverla, mi fermava e la pronunciava a voce, così potevo proseguire più velocemente nel mio discorso. Era o non era un T9?
Anche: http://www.scritturebrevi.it/2013/03/14/t9-sulla-mano/
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