Di Massimo Gramellini
La cena degli ultracorpi a casa Vespa è stata scandagliata
in ogni particolare. Tranne uno, dato evidentemente
per scontato: cosa ci faceva Vespa? I giornalisti non dovrebbero
organizzare cene per i potenti, né parteciparvi
se non in incognito, con parrucca e registratore incorporato,
per poi raccontarle sul giornale. Vespa festeggiava
le nozze d’oro col mestiere, ma anziché gli amici ha invitato
banchieri, politici e porporati: la controparte. È vero
che il portiere della Spagna mundial ha baciato in diretta
la fidanzata che lo stava intervistando, però Silvio e Vespa
non hanno vinto nulla e non sono neanche fidanzati,
almeno ufficialmente.
Niente di personale: intorno al biscotto del Potere ronzano
vespe di ogni colore e d’estate a Roma fioriscono terrazze
dove il critico contende un groviglio di bucatini al
regista del film che dovrà recensire e il politico di sinistra
suggerisce all’editorialista di sinistra che cosa scrivere
nel prossimo articolo che il pubblico di sinistra non leggerà.
Nessun governo dichiarerà mai illegale questo genere
di intercettazioni. Però non stupiamoci se i nostri padroni,
lettori e telespettatori, ci considerano parte di quella
stessa Casta dalla quale, a parole, prendiamo le distanze.
Chi si autodeclassa da campanello d’allarme a carillon toglie
credibilità alle battaglie sulla libertà di stampa. Quel
che è peggio, ne toglie all’immagine di una categoria composta
in maggioranza da persone che a cena con i potenti
non ci vanno, non foss’altro perché non vanno a cena, dovendo
restare nelle redazioni fino a notte fonda.
Massimo Gramellini – La Stampa 13.luglio.2010
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