martedì 11 maggio 2010

I PROFESSIONISTI DELL'INTERFERENZA

http://www.paolopaliaga.com/dblog/: "...E ci rivolgiamo ai giornalisti radicali, quelli più impegnati che impiegati, perché ci aiutino in questa forma di controriforma culturale, di terrorismo poetico volto a creare zone autonome di significato, volto a salvare gli inermi e gli indifesi ovverosia una opinione pubblica sempre più vampirizzata dalla pubblicità.

Bisogna sfruttare l'estetica per saccheggiare un simbolismo fortissimo e mitologico capace di invocare la forza antagonista.

Bisogna attingere dal bacino dei segni testuali e visivi delle pubblicità celebri per distorcerli e produrre messaggi alternativi non soggetti alle regole della grammatica culturale dominante" (Profitto e castigo - quando l'estetica si capovolge).

L'interferenza come mezzo culturale usato per contrastare i linguaggi devianti e fuorivianti servendosi dei loro stessi strumenti, e deformandoli, è uno degli strumenti del culture jamming e può essere intesa, in senso lato, non tanto e non solo come posizione "politica", ma come estrema dimostrazione di libertà e di intelligenza artistica: libertà di conoscere e di usare tutti i linguaggi, attribuendo loro valenze e significati diversi, spiazzanti e per questo devastanti.
Culture jamming è, precisamente, decostruzione dei testi e delle immagini dell'industria dei media attraverso la tecnica dello straniamento e del détournement: si spostano le immagini e gli oggetti dalla loro collocazione abituale per inserirli in un diverso contesto semantico dove il loro significato risulta mutato o addirittura capovolto.
Ma la parola jamming offre anche una suggestione per riflettere sul concetto di pregiudizio e sul suo superamento.
Esistono due tipi di pregiudizio. Il primo è molto riconoscibile e appartiene a coloro che, totalmente uniformati e aderenti ai mezzi e agli strumenti del potere, rifiutano tutto ciò che questo stesso potere esclude e rifuta (è il pregiudizio che dà luogo al razzismo, ai sistemi politici totalitari, alle società oligarchiche, come per esempio la nostra che si basa su un bipartitismo fittizio pensato da una élite solo ed esclusivamente per raggiungere e conservare il potere, schiacciando e desemantizzando le realtà più piccole che pure emergono da quel poco di volontà democratica che sopravvive nel sistema).
Il secondo tipo di pregiudizio fino a oggi è riuscito il più delle volte a restare nascosto sotto i vestiti di un falso progressismo. E' un modo appiccicaticcio di stare al passo con i tempi, sposando i concetti più fashion. Un conformismo al contrario che trasforma idee e concetti alti e profondi in puro status sociale sfruttando temi di grande impatto e attualità (ambiente, lotta al capitalismo, al consumismo, al comunismo, al fascismo...). E', questo, il pregiudizio di chi, rifiutando tutti i modelli che appartengono all'ordine costituito, crea una gabbia chiusa di modelli alternativi e vi entra dentro restando imprigionato nell'autoreferenzialità.
In entrambi questi CASI manca la comprensione del diverso. Senza questa comprensione, senza sporcarsi con la marmellata degli altri, si può demonizzare ma non smontare, non destrutturare, non dimostrare le falle all'interno dei processi oscuri di formazione delle idee, dei fatti, delle situazioni. In nessuno di questi due casi si riesce a restituire a chi legge, guarda, ascolta, riflette, significati autonomi e soprattutto autonomamente elaborabili.
Credo che di fronte alle sfide del livellamento mediatico, informatico, e culturale in genere, compito della mia professione sia proprio quello di decontestualizzare i simboli, utilizzandoli come antagonisti dello stesso sistema di cui fanno parte. La sfida è interessante e si tratta di capire come metterla in pratica, attingendo nella ricchissima biblioteca delle figure retoriche, per scegliere quelle che nei prossimi anni dovranno dominare la scena "politica" dei nostri discorsi.
Penso, personalmente, che il paradosso e la ridondanza dovranno avere un ruolo fondamentale: occorre suscitare stupore, spiazzamento ma anche noia e ilarità.
La speranza che nutriamo è che quella ormai mitica "risata" riesca, un giorno, a seppellirli.

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